Il contribuente potrebbe incorrere nella fattispecie di reato di dichiarazione fraudolenta anche inconsapevolmente; infatti la condotta fraudolenta si concretizza mediante l’emissione di fatture e documenti per operazioni che sono inesistenti o parzialmente false, e dedotte a sua insaputa.
Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti è previsto e punito dall’art. 2, D.lgs. n. 74/2000, che così enuncia:
“È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti al fine di integrare l’onere della prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria”.
Tale definizione stabilisce cosa si intende per dichiarazione fraudolenta fondata su falsa documentazione, idonea a fornire pertanto una falsa rappresentazione contabile della situazione fiscale del contribuente. A seguito delle previsioni di tale normativa è necessaria un’attenta esplicazione delle modalità attraverso cui si può incorrere nella condotta illecita.
Tale valutazione si è resa necessaria a seguito dell’inasprimento delle sanzioni penali in caso di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di documenti e fatture in tutto o anche solo parzialmente inesistenti; altro elemento di inasprimento riguarda anche la responsabilità amministrativa delle società in cui si verifica tale reato. Misure che sono state previste nel decreto fiscale al fine di contrastare i reati economici. Capita spesso infatti di pensare alle false fatturazioni, facendo riferimento all’ipotesi fraudolenta tipica rappresentata dalla contabilizzazione (con successivo utilizzo) di una fattura a fronte di un’operazione che non è mai stata eseguita.
In realtà invece, tra le ipotesi più frequenti si presentano anche i casi di fatture soggettivamente inesistenti a fronte delle quali, l’imprenditore che riceve i documenti fiscali, è all’oscuro della frode che si sta verificando, risultando pertanto coinvolto solo in quanto non avrebbe impiegato la normale diligenza e accortezza nei rapporti intrattenuti con i fornitori. A tutto ciò si sommano altre ipotesi in cui si è in presenza di documenti che hanno rilevanza fiscale e, in quanto tali, idonei ad integrare la fattispecie di reato.
Ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione fraudolenta occorre inoltre che le fatture o i documenti vengano emessi sulla base di operazioni che non sono realmente state effettuate in tutto o anche solo parzialmente o che indicano i corrispettivi o l’importo IVA in misura superiore a quella reale, o che riportano l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi. Un esempio potrebbe essere quello riguardante le note spese che vengono prodotte dagli amministratori per le trasferte. Tali documenti vengono poi dedotti dalla società stessa. Nel caso in cui, a seguito di controlli diretti, le spese chieste a titolo di rimborso dovessero risultare effettivamente non sostenute integralmente o parzialmente dall’interessato (pratica che comunemente è conosciuta come “spesa gonfiata”), secondo la normativa non vi è alcun dubbio interpretativo: si è in presenza di un documento fiscale che riporta i corrispettivi in misura superiore a quella reale.
La società che, nella dichiarazione, riporta tra i costi tali documenti, sta (almeno potenzialmente) integrando la condotta illecita ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. 72/2000. Il rappresentante legale (responsabile direttamente di tale reato) ovviamente potrebbe addurre a propria difesa l’assenza dell’elemento soggettivo, non essendo a conoscenza della falsità del documento, nel caso in cui questo sia stato prodotto da altro soggetto. Tuttavia, nel caso in cui la nota spese sia stata predisposta direttamente dall’amministratore o da uno degli amministratori che si è recato in trasferta, emerge chiaramente che la consapevolezza (elemento soggettivo) della commissione dell’illecito non può più essere messa in discussione.
La sanzione penale prevista dall’art. 2 del D.lgs. n. 72/2000 che prevedeva la reclusione da 1 un anno e 6 mesi fino ad un massimo di 6 anni per la commissione del reato in oggetto, è stata successivamente modificata dal Dl 124/2019 (chiamato anche Decreto fiscale); tale decreto ha previsto un inasprimento della sanzione aumentando la pena della reclusione da 4 a 8 anni, se l’imponibile non veritiero dedotto nella dichiarazione supera i 100mila euro in un unico periodo di imposta. La pena della reclusione sarà invece da 18 mesi a 6 anni se l’importo imponibile dedotto è inferiore ai 100 mila euro.
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